martedì 15 settembre 2009

La recensione del Cardinal Martini al libro di Ignazio Marino


[...] Emerge cosi chiaramente che quell'espressione «nelle tue mani» non si riferisce soltanto ad altri, ma tocca anche in prima persona ciascuno di noi, che sente di essere «nelle proprie mani».
Così vengono a collegarsi i due elementi, cioè la forza della medicina e il sapiente e prudente giudizio della persona. I progressi dell'arte medica potrebbero portare avanti per molto tempo, usufruendo di macchine spesso complicate, anche una esistenza senza, più coscienza ne contatti con il mondo circostante, ridotta a pura vita vegetativa. Qui interviene il giudizio prudenziale non solo del medico, ma anzitutto della persona interessata o di chi ne ha la responsabilità, per distinguere tra mezzi ordinari e mezzi straordinari e decidere di quali mezzi straordinari vuole ancora servirsi.
Il libro esamina tanta di questa casistica e lo fa non tanto con assiomi generali, ma con la memoria di fatti avvenuti, di cui l'autore è stato testimone in prima persona. Una tale situazione in cui la vita fisica si trova in pericolo è anche l'occasione per descrivere da vicino i problemi e i dilemmi che si pongono al malato come al medico e a tutti coloro che hanno a cuore il malato stesso. Le enormi possibilità della scienza medica pongono non di rado di fronte a situazioni in cui è molto difficile stabilire che cosa sia un «rimedio ordinario», cioè quegli strumenti che ciascuno è tenuto, non per obbligo legale, ma per dovere e impulso inferiore, a utilizzare, e che cosa siano invece quei «mezzi straordinari» che il malato o chi lo rappresenta, può decidere per ragionevoli motivi, di utilizzare o di respingere. Nasce qui quella domanda che vediamo emergere sempre più distintamente nel dibattito pubblico: fino a che punto può e deve spingersi la medicina? Certamente, come afferma l'autore «è dovere del medico non accanirsi, sapersi fermare quando non c'è più nulla da fare anche se questo provoca frustrazioni e sconforto». Ma quando si verificano questi casi, che vorremmo ancora chiamare «estremi», in particolare quando «c'è uno stato che non solo impedisce di esprimersi e di relazionarsi col mondo esterno, ma blocca la coscienza e riduce la persona a un puro vegetare e tale stato si rivela, dopo un attento e prolungato esame, come irreversibile?» [...]

Carlo Maria Martini

Qui la recensione completa del Cardinal Martini

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